Radio AUT: mesi orribilmente indimenticabili - Ep. 7
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The end!
Nei primi giorni del 1981, dopo le feste, con tanta amarezza e tristezza, Radio AUT chiude definitivamente le attività. L’assassinio di Peppino ci ha tagliato le gambe, inutile far finta che non è così. La radio che era diventata punto di riferimento delle radio democratiche della Sicilia grazie al lavoro incessante, continuo, capillare, testardo e quotidiano di Peppino e pochi altri, chiude. Peppino ci ha fatto capire che la mafia è nemica della classe operaia, è il nemico della democrazia, è l’obiettivo della lotta di classe contro l’egemonia dei potenti. Il suo assassinio stronca qualunque possibile futuro impegno culturale e politico. Niente sarà più come prima. Con l’assassinio di Peppino viene a mancare quella lucidità, quella capacità di lettura critica e profonda dei fatti e della realtà, senza lasciarsi abbagliare da un approccio superficiale ai fatti e alle notizie. Si spezza quel processo di maturazione e responsabilità. Manca anche il rapporto con il movimento che nel frattempo è ormai scomparso, ricacciando tutti nel privato e nel personale.
Ci siamo sempre chiesti cosa avrebbe fatto Peppino in tutti questi anni se non fosse stato eliminato. Sono sicuro che avrebbe intuito quelle potenzialità che aveva intravisto nel mezzo radiofonico per utilizzare tutte le nuove tecnologie, che nel tempo si sono innestate sui nostri modi comportamentali, per piegarle al suo modo di fare satira, ironia. Le avrebbe usate per continuare a sbeffeggiare ed irridere i potenti, sarebbe stato sempre nelle piazze e nelle strade per essere momento di coagulo di lotte ed iniziative. Avrebbe continuato a mettere l’ironia e la sua persona al servizio della lotta di classe. Quanto alla sua esperienza di consigliere … mah … è probabile che si sarebbe stancato presto di questa inutile figura istituzionale, sputtanando tutti in pubblico e tornando ad essere la voce libera tra la gente.
Oggi Peppino è una icona, un eroe dei giovani, con il suo esempio di giovane ribelle, che paga con la vita l’essersi opposto alle imposizioni della famiglia e della mafia, diventando il paladino della lotta alle ingiustizie. Purtroppo questo modo di decontestualizzare e guardare a Peppino è, se non fuorviante, quanto meno parziale: manca il substrato culturale e politico, l’essere soggetto rivoluzionario in un’epoca di cambiamenti, di rivolgimenti della politica e della cultura, con quell’incontenibile bisogno e capacità di comunicare bisogni e certezze. Manca la considerazione della scelta di rilancio della militanza in una fase di riflusso dalla politica da parte del movimento. Manca considerare quella capacità, quella forza capace di aggregare e coagulare e organizzare, attorno a sé, tutte quelle istanze capaci poi di protestare per i propri bisogni. Peppino è stato molto di più … ma di queto ne parleremo in un prossimo episodio.
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