La prima cosa da fare negli Usa, in Cina o in qualsiasi altro posto per il tuo vino – con Dario Pennino
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Marketing del vino italiano all’estero. In questa puntata Dario Pennino ci parla di come raccontare e vendere i vini italiani nel mondo. Pennino, che è stato amministratore delegato delle vendite di Mastroberardino ed oggi è libero professionista, si concentra sulle condizioni culturali e di contesto nei mercati internazionali che spesso vengono ignorate ma che diventano decisive in regime di grande concorrenza e di livellamento qualitativo dei prodotti quale quello odierno.
Noi italiani siamo bravissimi a raccontare le nostre belle storie e ad autogratificarci. Ma poi scopriamo che bravi e belli sono anche gli altri. E allora conta quello che riusciamo a comunicare. Conta intanto conoscere bene chi hai davanti, capire la persona e la cultura di quel Paese.
Il vino a Los Angeles
Raccontare il vino in Cina
La prima cosa da fare
Riposizionare un vino: I Vignaioli del Morellino di Scansano
Il vino biologico e Ladogana di Orta Nova
I precursori del vino
Note alla puntata:
Puoi ascoltare l’intervista audio, cliccando in alto in questo articolo. Qui sotto c’è la completa trascrizione.
Stefano: Ciao Dario! Come stai?
Dario: Ciao Stefano, sì, molto bene. Tu?
Stefano: Molto bene, grazie.
Dario: Vacanze?
Stefano: No, non ancora. E tu?
Dario: No, neanche per sogno!
Stefano: Ma dove sei adesso? A casa?
Dario: Sì sì, adesso sono a casa.
Stefano: E quindi dove? A?
Dario: Napoli.
Stefano: Beh, ho visto anche sulla tua pagina Facebook che hai una foto con Hamsik. Hamsik ha firmato, cinque anni, siamo tranquilli.
Dario: Tocchiamo subito un tasto molto sensibile, nel senso buono, perché io sono un grande supporter del Napoli e abbiamo vissuto questa vicenda Higuain, che in parte ha tenuto banco…
Stefano: Che vi ha appassionato e continua ad appassionarvi.
Dario: Voglio dire, ormai è routine. Hamsik, grande bandiera della Slovacchia, che ha creduto nel progetto sin dall’inizio, un’ottima persona, almeno negli occasionali incontri avuti con lui, un giovane ben motivato.
Stefano: Quindi adesso siamo tranquilli, possiamo parlare di vino, di marketing del vino, via! Allora, abbiamo scherzato, ma mi fa molto piacere, oggi, parlare con Dario Pennino, perché Dario è un campano DOC non solo perché ama Napoli come molti altri, ma perché ha una bella storia da raccontare, una storia di ambasciatore del vino campano – e non soltanto del vino campano, adesso ci racconterà anche le sue più recenti esperienze – però partirei dalla tua storia nel vino, perché tu sei stato per più di 12 anni amministratore delegato delle vendite di Mastroberardino, che credo sia stato un po’ il tuo ingresso, un ingresso in grande stile nel mondo del vino… vuoi raccontarci questa cosa? Quali sono stati i tuoi studi e come sei entrato nel vino.
Dario: Ma guarda Stefano, devo dirti che l’ingresso nel vino è stato davvero, per me, un’occasione in cui neanche credevo, mi riferisco sia all’ingresso in un settore che non conoscevo, devo essere sincero, sia all’ingresso in una grande azienda, in una grande famiglia come quella di Mastroberardino, dove, come tu hai appena accennato, ho avuto una lunga storia, anche con incarichi diversi, nel senso che il mio incarico maggiore è stato quello di cui tu accennavi prima, di amministratore delegato. Ma prima ancora io ho iniziato come export manager, quindi il mio start nel mondo del vino è stato quello classico, se vogliamo, di una figura giovane o junior che dir si voglia, di export manager: all’epoca, quindi parliamo nel 2003… epoca potremmo dire “sembra ieri”, e in effetti è molto molto altro ieri, per quanto il mondo, ma non solo quello del vino, sia cambiato. Erano scenari diversi, in cui all’epoca le cantine come appunto Mastroberardino avevano dei progetti di sviluppo, soprattutto di presenza e di distribuzione sui mercati internazionali, quindi questo fu il mio primo compito. E provenivo da esperienze diverse dal punto di vista professionale, nel senso che nel mio dopo-laurea – io sono laureato in Economia e Commercio, con una grandissima passione sin dai miei 19-20 anni per il marketing… il marketing, soprattutto il commercio internazionale, mi ha sempre appassionato – ho cercato anche esperienze di vario tipo, esperienze che mi hanno portato prima a piccole, varie esperienze, poi c’è stato l’approdo al Denaro. Il Denaro è un giornale economico-finanziario in Campania, dove io nel 1999 proposi al direttore di aprire e progettare un sito web per il giornale: per noi oggi sembra normalissimo parlare di un sito web, di un giornale, di un editore, ma nel ’99 era un’innovazione.
Stefano: Nel ’99 era una grossa innovazione. E quindi ti porti, insomma, questa passione per il marketing, già anche un po’ per la rete… così, arrivi a Mastroberardino, il tuo compito è portare i vini nel mondo, farli conoscere?
Dario: Sì, nel mondo, perché la mia personalità è legata all’esplorazione, alla voglia di capire, di conoscere, di riformulare magari, se possibile, delle formule esistenti in un mondo così dinamico, che cambia da un momento all’altro. Quindi io mi ritengo, da un punto di vista caratteriale, un curioso, un esploratore, per cui per me viaggiare e girare il mondo ha rappresentato senza dubbio una grande occasione professionale o umana.
Stefano: E questo mondo l’hai girato poi davvero e tanto con il vino… raccontami qualcosa di questa esperienza.
Dario: Ma guarda, il mondo del vino si identifica con tutto il mondo, nel senso che tutti bevono il vino, se poi vogliamo escludere aree culturali e geografiche particolarissime dove appunto alcune religioni non consentono l’uso dell’alcool o il bere vino, ma al di là di questa parte del mondo, tutti bevono il vino, e il vino si associa con la ristorazione, quindi si associa con il viaggiare, quindi lo scoprire, gli alberghi: è un mondo molto vasto, diciamo.
Stefano: E tu dove sei stato? Un po’ ovunque.
Dario: Dappertutto! Dappertutto vuol dire che avevo una piccola scheda su foglio Excel – poi non l’ho neanche più aggiornato – in cui a un certo punto contavo 54-55 paesi… tanti paesi. Poi alcuni, chiaramente, anche in maniera multipla: Stati Uniti, Giappone… paesi consolidati nel vino, Inghilterra, ho visitato poi tantissime volte gli Stati Uniti, che per me è stato un mercato in cui ho appunto applicato dei progetti a più riprese con più importatori, quindi insomma, c’è sempre stato tanto, tanto da fare.
Stefano: Ma senti, sono curioso: un ragazzo giovane, che quindi ha cominciato presto la tua esperienza, che arrivava da Economia e Commercio, mi sembra… tu arrivi lì con la passione per il marketing, magari le quattro P – prodotto, prezzo, posizionamento, promozione – che tipo di impatto c’è stato invece nel settore? Sei riuscito ad applicare le cose che avevi studiato? Insomma, com’è andata?
Dario: Bella domanda. Direi questo, Stefano: credo, anche se molto dipende all’interno del nostro paese tra sud, nord, quindi i giovani – in questo momento mi sto riferendo alla loro cultura – è cambiato tantissimo rispetto alla mia generazione, perché credo che nella mia generazione si era molto più curiosi di tutto, si era più affamati, si aveva più fame di scoprire, di fare, di costruire, e oggi credo che ci sia un taglio culturale molto diverso. Io generalizzo, ovviamente, eh.
Stefano: Dici “mia generazione”, cosa vuoi dire tu? Quanti anni hai?
Dario: Eh, io ho 48 anni, sono nato nel ’68, per cui è una generazione diversa rispetto, oggi, a un neolaureato che ne dovrebbe contare 25-26, per intenderci. Oggi – ma non vorrei, ci mancherebbe, andare nel sociale o nel culturale – un giovane si laurea e pensa di avere dei parametri di riferimento che, banalizzo, sono Facebook, WhatsApp, il messaggino, la fidanzatina, mamma o papà: e questo per lui rappresenta il suo mondo, il suo universo, che lo protegge, fondamentalmente. All’epoca tutto questo non c’era, nel senso che i nostri stessi genitori ci invitavano a fare qualcosa, ad andare fuori, a scoprire. Io ricordo mio padre, che sempre mi diceva “Tu devi viaggiare il mondo”, sì papà, io lo farò! Oggi un genitore dice “No, tu devi stare con me perché viaggiare il mondo è rischioso, ci sono le guerre e ci sono gli attentati”. Cambiano assolutamente i riferimenti, anche se sto un attimino banalizzando.
Stefano: Sì, sì, ho capito. Quindi intanto c’è questo atteggiamento di esplorazione che ti ha aiutato.
Dario: Assolutamente sì.
Stefano: E che quindi è un requisito. Senti, però un’altra questione è… appunto, tu sei stato in tanti paesi, oggi la questione di posizionare un vino in paesi nuovi è un tema per tanti: un’epoca in cui calano i consumi interni, anche la concorrenza si fa più agguerrita in alcuni mercati tradizionali, o magari calano anche i consumi in alcuni mercati tradizionali, e si cercano insomma nuovi mercati e nuove vie. Però, andare in Cina è cosa diversa da andare nei paesi scandinavi o in altri luoghi. Vuoi parlarmi un po’ di questo?
Dario: Ma guarda, è una domanda molto interessante perché si collega con una domanda che tu hai fatto prima a cui penso di non aver risposto, quando tu mi hai detto “Ma cosa ti sei portato dietro…”
Stefano: Sì, rispondi adesso.
Dario: Io direi questo: rispetto ai miei studi, e questa è la domanda a cui forse non ho risposto, gli studi sono fondamentali nella vita di una persona. Sono fondamentali perché ci danno la cultura di base, ci danno una sensibilità, ci danno degli spunti che noi possiamo cogliere, e ora parliamo di studi economici, commerciali… diversamente per un medico, ovviamente, dei suoi studi di medicina, gli danno quell’input. Nel nostro caso – studi commerciali di marketing – dobbiamo considerarli se vogliamo, ed è un consiglio ai giovani, una base, un presupposto necessario ma non affatto sufficiente per poter immettersi nel mondo del lavoro o, anche meglio, per fare bene nel mondo del lavoro. Cosa ci vuole oggi, per fare bene nel mondo del lavoro? Oggi, io credo che rispetto al marketing dei 10 o dei 15 anni fa, il marketing che abbiamo studiato a scuola, che secondo me ancora funziona nei suoi elementi basilari, oggi, in un mondo così variegato, in un sistema multiculturale: se noi parliamo di mondo, parliamo di vino, che è effettivamente distribuito in così tanti paesi, la base, il punto cruciale direi è che è un sistema di relazioni che tu vai a creare nei paesi, e nei mercati, di conseguenza. Con gli attori, ovviamente, che partecipano al mercato, che sono poi i tuoi attori con quali tu entri appunto in relazione. Perché mi sentirei di stressare questo punto? Perché, nel mio excursus professionale, posso dire che fino a, ti direi incredibilmente fino a 7-8 anni fa, però diciamo che fino a 10-15 anni fa delle strategie o dei meccanismi di funzionamento erano abbastanza standardizzati: potevano valere, non dico sempre ma in moltissime occasioni. Adesso no. Adesso ogni sistema, ogni area, microarea, microsistema, microcommunity ha bisogno di una sua interpretazione. Per cui l’uomo cosa fa? Il manager, il senior piuttosto che il junior? Lui capisce, lui cerca di capire. Cerca di interpretare e fermo restando i valori personali, dell’azienda, del posizionamento dei suoi prodotti, lui cerca… chiamiamola un’intesa, che poi nel commercio vuole essere una negoziazione, che poi nel commercio vuole essere “ok, sediamoci ad un tavolo e troviamo un sistema di marketing che funzioni per tutti”, però c’è bisogno di capire le persone, perché le persone provengono da esperienze diverse, e persone e paesi e mercati differenti provengono da vissuti così talmente variegati che tu necessariamente hai bisogno di darne un’interpretazione. Interpretazione che non vuol dire che tu perdi il tuo valore di base o la tua capacità di negoziare, ma quantomeno oggi ascoltare, dare quell’ascolto per il tuo interlocutore è fondamentale, perché lui deve anche capire se tu sei affidabile nel tempo, e se lui può dedicare tempo e denaro per te e con te. E tu sei aperto nei suoi confronti a supportarlo concretamente, nel suo sistema culturale o nel suo sistema di mercato. Sono riuscito un po’ a trasmettere il valore, il senso…
Stefano: Certo. Questo mi sembra molto interessante, forse proprio perché questo aspetto sta diventando più critico, come ci dici tu, e sta diventando anche critica, sempre di più, la questione dell’educazione al vino, ai valori: nel senso che mi sembra che sempre di più, prima della vendita, ci sia la necessità di far comprendere le differenze del prodotto, le specificità in un panorama sempre più complesso in cui anche le differenze qualitative si assottigliano e la competizione aumenta. Credo che sia stato anche parte del lavoro che hai fatto, ti sembra questo dell’educazione un tema cruciale?
Dario: Eh beh sì, lo è perché bisogna trasmettere non solo… guarda Stefano, ti dico la verità: io non ho mai fatto dei corsi di sommelier, perché il corso – ma nulla togliere alla professionalità dei sommelier stessi – tutto ciò che è un corso tende un po’ a catalogarti, o comunque a darti dei parametri di riferimento. Ma quelli sono sempre la base, poi sei tu appunto, con la tua sensibilità e la tua cultura a carpire delle differenze o a fare la differenza. Allora girare, viaggiare, ascoltare, parlare, confrontarsi in maniera ripetuta, perché se tu vai in un posto, qualsiasi città del mondo, e fai un seminario di educazione al tuo vino, in quel caso cosa succede? Hai un’attenzione massima di trenta minuti da parte di quella forza-vendita di… ad esempio, Los Angeles, se vogliamo parlare di uno delle migliaia di seminari che possiamo fare in migliaia di città del mondo: trenta minuti sono occhi, orecchie e cuore per te, poi tu te ne vai, dopo mezz’ora ne passa un altro, e loro fanno lo stesso con altri. Poi scopri – ho citato un nome, a questo punto, che era Los Angeles – che Los Angeles ha 17 milioni di abitanti, è una città vastissima e dove la cultura del vino è comunque piccola perché dominano gli spirits… cos’è l’educazione al vino? Due cose, secondo me: uno, devi trasmettere, di base, i valori del tuo vino, della tua cantina e del tuo territorio, perché tu devi far capire loro dove sei, perché lo fai, e perché lo fai lì e non lo fai altrove, perché il tuo vino non è indifferenziato. Nella massa numerosissima di ottimi vini che esistono in Italia, in Europa, nel mondo eccetera, e soprattutto – e qui, un messaggio un po’ più rivolto al nuovo marketing – ti servono quelle parole-chiavi, ti servono quei concetti assolutamente chiavi, che tu devi dare loro e loro devono almeno ricordare dei 12 concetti chiave 3-2 quando tu sei andato via: questo è educazione, nel suo significato più completo. Quindi sì, vai là, racconti la storia, la famiglia, il vino… poi noi italiani siamo bravissimi a raccontare le nostre storie perché ci auto-gratifichiamo, quanto siamo bravi e siamo belli, e poi scopriamo che bravi e belli sono anche gli altri, e allora non puoi tu andare a dire “Io sono più bravo e bello degli altri”, perché se in Italia questo approccio può funzionare perché nella nostra cultura noi lo diciamo, ahimè… io dico: “Ah, ma lui non è buono, io sono più buono dell’altro, io sono più bravo dell’altro, tu non sei nessuno, io sono…”. Ma nelle altre culture, per esempio quella americana, è proibito assolutamente fare nomi di altri, parlare male di altri. Quindi – cerco di chiudere un po’ i cerchi di cui sopra – ecco perché è importante interpretare e capire la cultura di quel paese, perché tu devi capire come devi tu funzionare in quel paese, e non come funziona il paese e basta, o come funzioni tu e basta. Ma come tu puoi funzionare nel paese…?
Stefano: Bella questione.
Dario: È una bella sfida!
Stefano: Senti, hai citato la questione del territorio, perché adesso sempre più si dice che uno dei valori materiali che è stato reso dalle bottiglie e che le differenziano è anche il territorio, oltre alla storia o un brand che possono essere grandi come nel caso di Mastroberardino oppure no, però dietro c’è sempre questo valore… ma che poi il rischio sia o di fare tutti la stessa cosa oppure di fermarsi a una dichiarazione di principio: ti sembra un tema, questo?
Dario: Sì, molto interessante, molto sensibile, perché poi ho visto negli anni che le storie che si raccontano sono sempre molto belle, ma qualche volta un po’ statiche perché, ripeto, non si confrontano con i meccanismi mentali e culturali di quel posto. Quindi bisogna, secondo me, su questo punto, riflettere tanto: cercare di capire come cambiare un po’ le storie, perché la storia della cantina è bella, è sempre bella, però il mondo è troppo veloce, l’attenzione dura venti minuti, la focalizzazione purtroppo talvolta manca, e allora bisogna fare cose diverse in mercati diversi. Tu prima citavi, tra le varie cose, la Cina, credo che tu facessi questo: io mi sognerei di andare in Cina e fare la stessa presentazione che faccio a New York… non posso farlo, perché non lo capiscono. Questo non vuol dire che io mi adeguo a un sistema che non è mio, se cerco di fare le cose come a loro piace, ma è l’unico modo per poter esprimere la mia professionalità cioè, cercare dei punti comuni, parlare un po’ la loro lingua. Guarda che la Cina, il cinese, delle storie, della geografia, non ne vuole sapere niente: non gli interessa, perché loro hanno saltato a piè pari tutta la storia del mondo e tutta la storia dell’Europa fino a venti anni fa, quindi è giusto. Per cui, loro non sono pronti a sentir raccontare. Loro vogliono sapere… sai cosa mi chiedono, Stefano? “Ce l’hai l’app, che mi scarico i documenti? Sei su WeChat, che mi mandi la foto?”. “Io non ce l’ho quest’app”, “E come faccio a scaricare le schede di ogni vino?”, “Te le mando per e-mail”. E-mail, questo sconosciuto in Cina! Tutto per app, tutto per WeChat.
Stefano: Quindi anche la rete ha cambiato tanto, ha un peso grosso negli stili di vita, nella cultura, e quindi in chi abbiamo davanti.
Dario: Ma guarda, la rete oggi ancora di più, parlerei di tecnologia in senso largo ma addirittura di smartphone. Gli smartphone, in senso stretto, sono proprio loro che dominano la vita quotidiana di molti popoli: nel mondo asiatico, guarda che lo smartphone la fa da padrona, e se tu non ti confronti con quel sistema, c’è poco da fare o comunque devi cercare un punto, una via di mezzo.
Stefano: Cioè, spesso tra te e il tuo interlocutore c’è di mezzo uno smartphone, in qualche modo…
Dario: Con quei popoli sì. Io ti dico una cosa, che forse non ti ho ancora detto: nelle mie esperienze professionali, attuali intendo, io distribuisco con una mia società l’acqua Lete in Cina,...
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